EDITH PIAF - trasalimenti - ROCCA CALASCIO (AQ.)

Trasalimenti 2010 - 6-7-8 Agosto -ROCCA CALASCIO (Aq) -- ILIJA SOSCHIC.

LAURA APRATI - MAL'ITALIA
















ALBERTO BURRI





L’artista – scrive Ernst Jünger – è prima di tutto responsabile dinnanzi alla sua opera e non dinnanzi al tale o talaltro ordinamento politico». Personalmente, pur condividendo l’affermazione dell’autore de l’Arbeiter, per tracciare il profilo dell’artista in questione, non posso esimermi dall’accennarne alcune scelte politico-esistenziali.



Nato a Città di Castello, il 12 marzo del 1915, Alberto Burri intraprende gli studi in medicina, conseguendo la laurea nel ’40. Giovane fascista, volontario in Abissinia, in quanto convinto di partecipare alla guerra dell’Italia proletaria e fascista contro le forze della conservazione, Burri venne richiamato nel ’41 e mandato sul fronte albanese con il 102º Battaglione Camicie Nere. Infine, nel ’43, l’ufficiale umbro fece ritorno in Africa, venendo catturato in Libia dagli inglesi e spedito nei campi di concentramento texani, quelli per i non-cooperatori, a Hereford. Qui, il medico di Città di Castello si trovò in buona compagnia; tra gli irriducibili, tra quelli che non erano disposti a vendersi agli americani c’erano diversi ufficiali che poi fecero “strada”, tra questi è giusto ricordare: il ferrarese Gaetano Tumiati, i futuri parlamentari missini Beppe Niccolai e Roberto Mieville, lo scrittore irpino Dante Troisi e l’eterno malinconico Giuseppe Berto. Ma se quest’ultimo, durante la prigionia, iniziò a dare corpo alla struttura narrativa del suo Il cielo è rosso, Burri, per puro caso, iniziò ad avvicinarsi all’arte.

Come avvenne per Céline, anche per l’ufficiale fascista, l’abbandono dell’attività medica fu condizionato più da pressioni esterne che da una reale crisi interiore. Ci ricorda, infatti, Luciano Lanna: «Quando fui deportato in America – scrisse Burri – l’unico bagaglio che portai con me fu lo zainetto sanitario che conteneva fiale, medicine e altro. Pensai che ne avrei avuto bisogno durante la prigionia. E invece fu la prima cosa che mi tolsero. Mi tolsero lo zainetto e mi rubarono l’orologio. Ecco quale fu per me il benvenuto….» (1) Nell’opera memorialista Fascists criminal camp, l’ex internato Roberto Mieville scrisse: «Gli uomini erano costretti nelle baracche per quel gran vento di sud ovest e continuavano i loro passatempi (…)» (2) In tale condizione, Burri, per uccidere il tempo, divenne manipolatore della materia, avendo a disposizione ben poche cose; da qui, il suo procedere artistico composto da elementi della quotidianità.

Certo, Burri fu un auto-didatta ma come ogni artista che si fa da sé, anche lui, prima di applicarsi alla tela, aveva assorbito gli insegnamenti dei grandi maestri, primo fra tutti, il futurista Enrico Prampolini che, nel suo Introduzione all’arte materica (1944), scriveva : «Si trattava di portare alle estreme conseguenze il concetto di sostituire totalmente e integralmente la realtà dipinta con la realtà della materia (…) L’arte polimaterica non è una tecnica ma – come la pittura e la scultura – un mezzo di espressione artistica elementare il cui potere evocativo è affidato all’orchestrazione plastica della materia. La materia intesa nella propria immanenza biologica, come nella propria trascendenza formale. La materia/oggetto, nei suoi aspetti rudimentali poli-espressivi, dalla più umile e eterogenea (quasi relitto di vita) alla più raffinata e elaborata. »( 3) Burri re-interpretò la lezione di Prampolini a modo suo, sconvolgendo gli insegnamenti del Maestro e dandogli un’impronta autonoma e originale.

Terminata la guerra e smessa la divisa da P.O.W., Burri fece ritorno in Italia, adattandosi alla meglio a quella che era la sua duplice condizione di reduce e artista squattrinato e, quindi, vagabondo per le vie della capitale. Esistenza raminga, la sua, che metterà Burri a stretto contatto con gli elementi che poi andranno a comporre le sue opere: sacchi, legni, cartoni, catrami, plastiche e ferro; l’applicazione di ferite, lacerazioni e combustioni faranno il resto. Rosso e Nero sono le tinte che contraddistinguono il suo percorso nella ricerca materica: il rosso brillante del sangue con le sue cicatrici, in contrasto con le nere ferite dell’anima. Qualche critico si è spinto oltre, ravvisando in questa impostazione pittorica una sorta di ritorno alle origini dell’attività medica.

Come tutti i grandi artisti, anche Burri, inizialmente (e non solo), fu mal digerito dalla critica che si avventò su di lui e sulle sue opere. Critica a cui si accompagnarono gli strali di taluni politicanti:memorabile la bagarre del comunista Umberto Terracini; quello, per capirci, che, a suo tempo, avversò il patto Molotov-Ribbentrop. Quando nel ’59, la Galleria d’arte moderna di Roma acquistò il “Grande sacco” di Burri, Terracini, con l’appoggio della Democrazia Cristiana, fu il promotore di un’interrogazione parlamentare in cui si chiedevano delucidazioni in merito alla cifra elargita per quella: «vecchia sporca e sdrucita tela da imballaggio che, sotto il titolo “Sacco grande” è stata messa in cornice da tale Alberto Burri». (4) Evidentemente, Terracini soffriva di quella strana miopia, per altro comune in quegli anni, che gli impediva di vedere qualsiasi cosa si di-scostasse dal figurativo e, quindi, dal realismo di matrice sovietica. Tutto ciò avvenne a Roma, a Torino, invece, come ci ricorda Francesa Bonazzoli: «la sua mostra allestita alla Galleria d’ arte moderna nel 1971 venne chiusa dall’ ufficio d’ igiene; il quotidiano La Stampa scrisse che l’ occasione fu – un grande scandalo per i benpensanti – e che – una signora, appena uscita dalla mostra, ha telefonato all’ ufficio d’igiene per chiedere una urgente disinfestazione dei quadri, a suo avviso puzzolenti e pieni di microbi».(5)

Burri fu un artista scandaloso, o meglio, al pari di Fontana, scandalosamente all’avanguardia, come ha ricordato qualcuno. Eppure, non si arricchì mai, forse, a causa di quel brutto vizio di non piegare mai la testa e di non vendersi al padrone di turno. Vizio che del resto contraddistinse la sua intera esistenza. Dalla prigionia, quando si rifiutò di barattare la sua fede nel Fascismo per una non ben precisata democrazia, fino alla tarda età, negando a Giovanni Agnelli la vendita di uno dei suoi “sacchi”:«Era un uomo riluttante a compiacere i potenti – scrive Piero Palombo – incapace di blandire, sollecitare, affidarsi alle benevolenze altrui».(6)

Nel ’49, insieme a Mario Ballocco, Ettore Colla e Giuseppe Capogrossi, Burri costituisce il gruppo Origine. L’esigenza che muoveva questi artisti era la necessaria eliminazione delle vecchie sovrastrutture che avevano, fino ad allora, immobilizzato l’ambiente artistico. Infatti, in un mondo diviso fra astrattisti e figurativi, Burri e i suoi si ponevano al di fuori della contesa, attestandosi su una “terza posizione” che fosse in grado di favorire un ritorno alle origini primordiali dell’arte. In tal senso, l’utilizzo e l’applicazione del fuoco sarà fondamentale. In merito alle “combustioni” di Burri, Maurizio Calvesi scrive: «Qui si direbbe che la cedevolezza del medium e l’uso del fuoco abbiano eccitato la fantasia del pittore verso una sorta di teatro astratto della violenza, generatrice di ‘inferni’ che conferiscono all’animazione della materia un significato attivo e tutto particolare di tormentata, vulcanica orografia».(7) Il rosso di Burri, infatti, erompe dalla tela e si offre a divagazioni tattilistiche, impegnando l’osservatore in un viaggio nella materia e nelle pulsioni dell’artista che, come un combattente, versa il proprio sangue sulla tela, suo ultimo campo di battaglia.


fonte:blog nadir

Pier Paolo Pasolini


CROMOFOBIE dal SUPER-CARCERE di SULMONA.


Buon Natale !!!!!!


Buon Natale
Merry Christmas
メリークリスマス
Frohe Weihnachten
Joyeux Noel
聖誕快樂
Glædelig Jul
Kαλά Χριστούγεννα
Feliz Navidad
Sretan Božić
Mutlu Noeller
Срећан Божић
Giáng sinh vui vẻ
Eguberri on
Fijne kerstdagen
Kellemes Karácsonyi Ünnepeket
Feliz Natal
Hiallahhhaall et hancha Hiollohhhooll
عيد ميلاد سعي
Vrolijk Kerstfeest
圣诞快乐
God Jul
Natale hilare
Crăciun fericit
Gajan Kristnaskon
메리 크리스마스
Bada Din mubarak ho
Glædelig Jul
Shenoraavor Nor Dari yev Pari Gaghand
Selamat Hari Natal
Rehus-Beal-Ledeats
Jutdlime pivdluarit ukiortame pivdluaritlo
חג מולד שמח
Sawadee Pee Mai
Selamat Hari Natal
Il-Milied It-tajjeb
Bon Nadal
Gezur Krislinjden
Gesëende Kersfees
счастливого Рождества
Gladur Jól
Sikukuu njema ya Krismasi
Честита Коледа
Veselé Vánoce
Priecīgus Ziemassvētkus
Wesołych Świąt Bożego Narodzenia
Hyvää Joulua
کریسمس مبارک
Maligayang Pasko
Gledelig Jól
Nollaig shona diabh
Bo Nadal

hidetoshi nagasawa


Trasalimenti Art___Hidetoshi Nagasawa







Hidetoshi Nagasawa
Albero di farfalle



Catalogo con saggio critico di Walter Guadagnini



La Galleria MarcoRossi Spiralearte di Milano presenta dal 20 novembre al 18 gennaio 2009 la mostra personale di Hidetoshi Nagasawa: una nuova opera in marmo, dal poetico nome Albero di farfalle, studiata e realizzata dall’artista appositamente per questo spazio, accompagnata da una selezione di quindici opere su carta.
E’ dalla mostra pubblica del 2002 al Palazzo delle Stelline che l’artista giapponese, nato nel 1940, non espone una personale nella città di Milano, dove vive dagli anni Sessanta e la nostra Galleria è felice di ospitare negli spazi di C.so Venezia l’ultimo lavoro del Maestro della scultura Zen.
Si tratta di una grande stele in marmo di Carrara, alta oltre 2,30 m pesante oltre 700 kg, che incanta e stupisce per l’incredibile senso di equilibrio impossibile e per la sua apparente leggerezza.
Il lavoro di Nagasawa è strettamente legato alla filosofia orientale, le sue opere sono sempre molto evocative e hanno un forte valore simbolico e lirico, in loro l’artista fonde le eredità spirituali dell’Oriente e quelle dell’Occidente .
Albero di farfalle fa parte del ciclo delle sculture anti-gravitazionali, un ciclo di opere che l’artista propone da molti anni rinnovando ogni volta la sorpresa, infatti con queste opere Nagasawa rende visibili forze invisibili, cercando la forza dell’equilibrio e un contatto diretto con le cose, con il loro “interiore”, nel corso di trent’anni, infatti, il suo lavoro è cambiato si è trasformato, ma ha seguito una sua coerente, naturale evoluzione.
Le opere di Nagasawa, siano esse in marmo o in carta, danno corpo all’ombra e sono il corpo dell’ombra, nascono e si collocano nello spazio Zen del ” Ma”,” La soglia”, un luogo fisico e mentale dove si concentrano tutte le energie; possiamo dire che le sue opere di sono come gli Haiku poetico-filosofici dove c’è estrema concisione, semplicità, essenzialità e condensazione di pensiero che stimola l’immaginazione e la mente.
Lo si può intuire dalle affascinanti opere in carta esposte nella mostra, delle vere e proprie sculture che racchiudono la sapienza orientale degli origami coniugata con l’arte contemporanea.
Le composizioni realizzate su carta con rame e ossidi che completano l’esposizione rievocano invece il fascino delle sue installazioni ambientali nei volumi e nelle forme.
Nagasawa ha recentemente installato l’opera Giardino rovesciato al parco-museo della Villa Medicea La Magia a Quarrata, mentre nel corso del prossimo anno, a partire dal mese di luglio, sarà impegnato con una serie di sei mostre nei principali Musei del Giappone: il Museum of Modern Art di Saitama e di Kawagoe, il National Museum of Art di Osaka, il Museum of Modern Art di Kamakura e di Hayama e il Nagasaki Prefectural Art Museum.

Trasalimenti Art____Marino Durante - Convergenze 1997,Colonnella (te)




Vietnam


ottaviano del turco





Ottaviano Del Turco, ultimo segretario del Partito socialista italiano, uscito indenne da Mani Pulite, finisce in carcere il 14 luglio 2008. L'accusa è pesantissima: da governatore dell'Abruzzo ha gestito un sistema di corruzione e tangenti fondato su un intreccio perverso tra politica, cliniche private e banche. Milioni e milioni di euro in cambio di rimborsi gonfiati e leggi vantaggiose. Ma il caso abruzzese non è una storia a sé. Nel grande business della sanità italiana nessuno vuole rinunciare alla sua fetta di torta: politici, dirigenti Asl, cliniche private, banche. La sanità rappresenta il capitolo di spesa più consistente nel bilancio di ogni Regione, un pozzo senza fondo a cui tutti vogliono attingere. Gli esempi, negli ultimi anni, sono tanti: dalla rete di lady Asl nel Lazio di Storace ai rimborsi truccati della casa di cura Santa Rita di Milano. Senza dimenticare l'ex-governatore siciliano Totò Cuffaro, condannato per favoreggiamento del re delle cliniche isolane in odore di mafia, Michele Aiello. Malabruzzo ricostruisce passo dopo passo la storia della dissennata politica sanitaria abruzzese, dai tempi del Gasparismo all'era Del Turco. E racconta un sistema malato, forse paradigmatico, che affonda le radici lontano nel tempo.


































































il ''DUE'' di COPPE.


Sora Lella


Tamerlano


moby dick

Luciano Fabro [ Prometeo ] e Sol LeWitt [ Wall Drawing ]



Foreground [ OPERA CENTRALE]: 
Luciano Fabro - Prometeo, 1986-1987
 
Background [SFONDO]:

Ezra Pound - le BANCHE e L'USURA.

mercoledì 08 ottobre 2008, 07:00
Pound&Co., i poeti che volevano abolire le banche
di RedazioneVota1 2 3 4 5 Risultato Strumenti utili Carattere Salva l'articolo Invia a un amico Stampa Rss Pdf Segnala su OKNOtizie Commenti Condividi la tua opinione con gli altri lettori de ilGiornale.it

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aiuto «Il tempo non è denaro, ma è quasi tutto il resto!» Così, negli anni Trenta, il poeta Ezra Pound incitava alla resistenza contro la commercializzazione di tutto quello che nella vita non può essere ridotto a un valore economico, e quindi è veramente prezioso. La sua lungimirante critica dell’economia basata sul profitto a scapito della qualità è stata recentemente riconosciuta come valida addirittura dal New York Times, che poco tempo fa apriva un articolo sulla crisi dei mutui con i versi poundiani del Canto 45: «Con usura nessuno ha una solida casa...», efficaci, secondo l’autorevole quotidiano statunitense, a spiegare perfettamente cosa è successo.
La voce di Pound, contrariamente a quello che la lunga detenzione in manicomio criminale potrebbe far pensare, non è quella di un pazzo isolato, ma fa parte di un vasto ed eterogeneo coro di artisti e intellettuali che, fino alla seconda Guerra mondiale, criticano la speculazione finanziaria - dantescamente chiamata «usura» - mettendo in guardia la società sui pericoli di un’economia lasciata nelle mani dei banchieri.
All’inizio del Ventesimo secolo, Alfred Richard Orage raccoglie attorno a The New Age, la rivista da lui diretta, un cenacolo di scrittori, filosofi e politici anticonformisti che approfondiscono con attenzione i temi economici, dato che «senza economia e senza politica è davvero inutile parlare di cultura». Dalle colonne del settimanale di Orage, due tra le più brillanti penne dell’epoca, Hilaire Belloc e Gilbert Keith Chesterton - l'autore di Padre Brown - lanciano i loro attacchi contro la speculazione di chi, in nome del libero mercato, difende una società composta da pochi sfruttatori e tanti sfruttati.
L’alternativa, secondo loro, è uno Stato «distributivo» - non «collettivista» - in grado di regolare, attraverso i rappresentanti delle categorie produttive, le esigenze della popolazione con la distribuzione delle ricchezze. Proprio sulle pagine di The New Age, nasce e si sviluppa il pensiero economico di Ezra Pound, affascinato dalle teorie economiche del Maggiore Douglas, un economista eterodosso che si guadagnò il rispetto e l’attenzione di Keynes criticando il potere delle banche di creare denaro dal nulla. Le sue analisi affascinarono un numero considerevole di intellettuali, dai poeti Thomas Stearns Eliot e W.C.Williams ai più popolari scrittori di fantascienza James Blish e soprattutto Robert Heinlein, che dedica ben due romanzi alla descrizione di un mondo modellato sui principi del Maggiore Douglas, dove il monopolio del credito è pubblico ed è esercitato a favore dei cittadini. In questa società ideale nessuno è più costretto a lavorare, perché la ricchezza, derivata dall’abbondanza naturale e prodotta dalle scoperte scientifiche, viene distribuita a tutti i cittadini.
Il disprezzo per l’avidità, in quegli anni è molto diffuso, ed è immortalato anche dai versi del poeta irlandese William Butler Yeats, araldo di una società aristocratica modellata sulla forza delle virtù e non sulla prepotenza del denaro, lasciato a chi preferisce «frugare in un cassetto sudicio/ e aggiungere al soldo il mezzo soldo» piuttosto che gioire della vita come fanno «l’operaio, il gentiluomo e il santo».

o,fortuna

O Fortuna, cangi di forma come la luna, sempre cresci o cali; l'odiosa vita ora abbatte ora conforta a turno le brame della mente,
dissolve come ghiaccio miseria e potenza. Sorte possente e vana, cangiante ruota, maligna natura, vuota prosperità che sempre si dissolve,
ombrosa e velata sovrasti me pure; ora al gioco del tuo capriccio io offro la schiena nuda. Le sorti di salute e di successo ora mi sono avverse,
tormenti e privazioni sempre mi tormentano. In quest'ora senza indugio risuonino le vostre corde; come me piangete tutti: a caso ella abbatte il forte!