alberto burri


MARIO SCHIFANO - Artisti allo specchio - Regia : MARIO CARBONE

Trasalimenti Art :
MARIO SCHIFANO - Artisti allo specchio - Regia : MARIO CARBONE
prod. Rai Tv Ita [ I parte ]

con Mario Schifano e Achille Bonito Oliva



Trasalimenti Art :
MARIO SCHIFANO - Artisti allo specchio - Regia : MARIO CARBONE
prod. Rai Tv Ita [II parte ]

con Mario Schifano e Achille Bonito Oliva



valeriano trubbiani


colonnella - 1997


Luigi Ontani


Arte - Mereth Oppenheim

Arte - Mario Schifano

Un Giornalista Abruzzese

Da qualche tempo sono più attento al “linguaggio” che alla “comunicazione”.
Ho ricevuto una lettera da un giornalista abruzzese che fa riferimento ad un mio testo pubblicato su http://trasalimenti.blogspot.com, ed ora anche su http://gomorrasl.splinder.com , dal titolo “Abruzzo”.
Uso la parola "testo" volontariamente, non per indicare una genericità di contenuto che al contrario generico non voleva essere. Volevo indicare tratti comportamentali in alcune aree di relazione poco studiate o poco frequentate dal giornalismo, ad esempio l’arte e le varie esposizioni che imperversano e che si accumulano esponenzialmente; come se gli abruzzesi fossero in preda ad una fame predatoria artistico-culturale impellente e irrinunciabile. Se poi tale fluida attività culturale possa avere una utilità pedagogica circa la “civiltà delle buone maniere” abruzzesi e italiane è un altro discorso, seppur filiale degli enunciati principali.
Proprio il giornalismo - un certo giornalismo aduso più ai fochi pirotecnici scandalistici che all’analisi dei fatti o al classico e sempre più desueto “reportage”- mi accusa di esporre “generiche considerazioni”, e di usare “parole e riflessioni che non portano a nulla”.
In ritardo tragicomico circa l’epoca pasoliniana questo giornalista abruzzese mi invita a fornire “nomi, circostanze, eventi, cataloghi, costi, tutto quanto ci possa aiutare in una ricerca dei FATTI.”
Si tratta di un giornalismo seduto davanti ad un computer e che pratica un “copia e incolla” digitale, che probabilmente fa sudatissime o refrigerate ricerche sul web ma non si accorge, o finge di non accorgersi, di quello che accade sotto il suo ufficio, in strada, nel suo quartiere, nella sua città, nella sua regione.
Il minimo che possiamo dire è che si tratta di un giornalismo un po’ “pigrotto”, al massimo piuttosto cieco perché è talmente “imbrigliato” nel suo microcosmo autoreferenziale che ha perso la deontologia professionale del distacco, della distanza critica e forse (ma non vogliamo pensarlo) della libertà, la vecchia e polverosa libertà.
Siamo tutti amici e parenti. Ho bisogno delle prove.
Sono giornalisti che appartengono alla schiera dei S. Tommaso.
La parte finale della secca e breve e-mail del giornalista, con l’incipit di “gentile signore” senza chiamarmi per nome e cognome perché io sono un nulla, si conclude con una furba rotazione salvifica ed autoassolutoria: “Francamente sono a contatto tutti i giorni con chi millanta di sapere e poi non dice. Qui o ci si carica di senso civico o si sprofonda tutti”.
Il senso civico e la responsabilità evidentemente non abitano i luoghi della “comunicazione”, sono tuttavia rintracciabili in quelli del “linguaggio”.
In effetti, il linguaggio del giornalista che mi scrive appartiene, forse inconsapevolmente, a quel sistema che ho tratteggiato nel mio breve “testo”. Lui ci sta proprio dentro. Mi ha dato ragione.
Ecco perché non può capire. È preso al laccio.
Favolisticamente lui potrebbe rovesciare le mie “generiche considerazioni” in qualcosa di più serio, spingendomi nel classico paradosso pinocchiesco di fronte alla scimmia-legge.

Io ho risposto così:

Gentile signore,
mi pare che spetta al giornalismo raccontare o ricercare FATTI.
Se lei per giornalismo intende scrivere sulla pappa già pronta avrà sicuramente le sue buone ragioni.
Le auguro buona ricerca dei nomi, delle circostanze, eventi...
Cordialmente suo…


© vario son da me stesso

La Confartisti

Dove vanno tutti questi artisti che si propongono in forme collettive, in forme associative o sottospecie di sindacati, che girano per mostre dai titoli più assurdi mobilitandosi come un blocco social-sociologico?
Quali obiettivi si prefiggono in queste forme consortili che in definitiva annullano l’individualità e la soggettività dacché l’artista, per sua natura, dovrebbe aborrire il noi ed annunciare il semplice me?
Il noi, le voci del mondo, sono già inscritte nel gesto individuale dell’opera e allora che senso hanno queste consociazioni artistiche (venti, trenta, quaranta nomi per volta), la Confartisti che “occupa” piuttosto che “abitare” creativamente gli spazi?
È solo la risposta ansiosa all’angoscia dell’”esserci”, che si maschera dietro un falso concetto di “pluralità”, se non retorica “molteplicità”– ove dentro serpeggiano lunghi coltelli – o ad un desiderio da narcisismo “secondario”?
Non cova sotto-sotto quella falsa idea egualitaria del tutti insieme, del volare basso, quale minimo comun denominatore nella piattezza senza differenza od eccellenza, che caratterizza la nostra cultura?
Cretini specializzati, semianalfabeti professionali, furbetti ed “ominicchi”, raccomandati e mafiosetti si tuffano dentro questo magma numerico che spaccia in giro un’idea equivoca di arte, creando opacità in una realtà già assai affannata di suo a capire il contemporaneo.
Assessorati, pro-loco, sagre e fiere accolgono questo nulla sperperando soldi in inutili cataloghi dimenticati il giorno dopo pieni di parole annoiate ripetute da vent’anni intorno al gioco sterile dell’arte “nel nostro territorio” e di “tutti i territori” e dei borghi d’Italia. Una montagna di soldi e risorse umane per soddisfare i piccoli narcisismi della Confartisti.
Sono sommerso di inviti a mostre che nemmeno cento vite mi permetterebbero di andare a vedere. Ma se ciascuno, di quei quaranta artisti, porta almeno un parente o un amico, o un solo augurale collezionista, saranno ottanta, forse cento, e all’inaugurazione, si dirà, è stato un successo. Di successo in successo… fate voi.
Forse non ci viene comunicato un invito a vedere ma solo che qualcuno c’è, che disperatamente lotta contro lo sprofondamento in quell’anonimato inaccettabile che il nostro sistema mediatico produce, inevitabilmente, nella forma di scorie.
In definitiva, molte di queste esposizioni d’arte collettive sono l’espressione di scorie del sistema (dell’arte).
Io ricordo mostre epocali e di svolta, anche in culo al mondo, ove eravamo a visitarla in venti, non vuol dire…
Immaginiamo invece una favola. In questa favola c’è un mago, un abile barman che con il suo shaker mescola: imponderabile, vite clandestine, nuda vita, talento, fortuna, luoghi, incontri, viaggi, mogli, sfiga, genialità, sesso, amanti, carattere, durata, tarocchi, storia, soldi, assenza, tentato suicidio, depressione e narcisismo primario. Tutte cose che a tavolino non potrete mai programmare.
A questo punto il mago ti serve il suo drink e tu devi essere pronto ad accoglierlo, berlo tutto di un fiato, ed è solo per te.
Ma, sei pronto?
Ti accorgerai che non sei poi tanto artista come credevi di essere.


® vario son da me stesso.Ottobre 2007